Il
flusso mi trascina più avanti, scorre veloce, come se fosse
impaziente di portarmi laggiù. Laggiù dove? Cosa c’è là in
fondo?
Così mi sento; incapace di decodificare e registrare tanta
bellezza.

Adrenalina
Case bianche, assiepate, incanalano il torrente di folla. Muri di mattoni verniciati nascondono piante secolari, segreti; microcosmi di vita quotidiana, l’intimità dei vicoli. Nelle piazze i bambini si rincorrono fra tavolini traballanti, su pavimenti sconnessi di pietra rosa. Sfioro negozianti e negozi che sorridono, le vetrine lanciano voglie di cioccolato; il suo sapore caldo, pastoso, avvolgente, si impossessa della mia lingua. Un peccato di gola? Un peccato non assaggiarlo. Il sole batte su una bancarella di frutta che esplode di profumi e colori.

Sculture di contemporanee dialogano con lo stile severo di antichi edifici. Le note di un’artista di strada rimbalzano sotto l’arco di pietra che tiene separate due case antiche che vorrebbero fondersi. Una faccia di farina con polsini e cappello a bombetta mima un copione muto. Riccioli biondi in giacca e cravatta pizzicano viole e violoncelli, la gente batte il tempo con le mani. Tintinnio di monete che cadono nella custodia degli strumenti. Volti neri percuotono piccoli bonghi, un ritmo tribale, le mie gambe si muovono. Adrenalina.
Armonie e contrappunti
Lontano qualcuno suona un clacson, aumento il passo e supero il rombo di una moto, schivo il profumo di un ambulante di Bretzel. Una tuta in bicicletta mi sfiora. Un bambino soffia nell’armonica e attraversa lento la strada, mi guarda. Il brusio belga si mescola con chiacchere e richiami tedeschi, inglesi, olandesi. Armonie e contrappunti di una città multietnica, multiculturale.

Il tesoro
Cammino e affondo sempre di più nello spirito di questa città. Il torrente del vicolo mi trascina più avanti, come se fosse impaziente di portarmi laggiù. Laggiù dove? Cosa c’è là in fondo? È una caccia al tesoro. Improvvisamente vengo inondata da un mare di luce, la Grand Place si spalanca davanti a me, rigogliosa, capogiro di palazzi secolari, perimetro di stili architettonici tessuto con la sontuosa sensibilità di una merlettaia. Qui si avvera il sogno degli alchimisti: le pietre si fondono nel crogiuolo della luce, le facciate colano oro liquido.

Lo scenario è mozzafiato, non sento più nulla, qualcuno ha abbassato il volume, totalmente. Intuisco che per toccare l’anima della piazza devo abbandonarmi ai sensi. Mi sovvengono le parole di Monet, quando scriveva dell’impossibilità di cogliere un momento fugace in un dipinto: il tempo di posare il pennello sulla tela e la luce è già cambiata. Così mi sento ora, io, incapace di decodificare e registrare tutta questa bellezza. Inseguo il sole sulle guglie, scopro finalmente il cielo. Limpido.

Profumo di luppolo
Un ritmo di zoccoli sul selciato e il rollio delle ruote di carrozza richiamano la mia attenzione, seguo l’antica vettura con lo sguardo e scopro il tappeto di fiori che porta al Palazzo Reale. Sulla scalinata il peso dello zaino aumenta. Fatico. La ressa si dirada, posso godermi la vista di Bruxelles dall’alto. Da qua sopra i rosoni delle chiese si dilatano esibendo splendori di colori traslucidi. Adesso le vie sembrano dipinte, fiabe di case incastrate una nell’altra. La terracotta porosa dà consistenza a muri dagli andamenti sorprendenti. Diagonali di tende e insegne luminose chiedono attenzione.

Non è ancora sera, ma il locale è buio, qualche abat-jour soffonde una luce ambrata, calda. Vassoi appesi sopra il bancone rosso, palcoscenico per spillatori eccellenti di birre scure servite con abbondante cappello di schiuma. Dal bicchiere sale un profumo amaro di luppolo che si mescola con l’odore del fumo.

Potrei giurare di aver visto anche Jack tra la folla…
capitan Jack Sparrow
La gente è vestita in modo stravagante; nessuno ci fa caso. Un’altra birra. Questa è verde smeraldo e ha un vago sapore di chewingum [è mai possibile?].
Il quartiere dei musei è bianco. Silenzio. Ai lati della strada scorgo un cerchio di persone sedotte dalla voce di un ragazzo che si accompagna con la pianola. Mi intrufolo. Fa caldo. La melodia mi trattiene e siedo sull’asfalto; zaino sempre in spalla e macchina fotografica sempre in mano. I più coinvolti alzano le mani, ondeggiano e si abbracciano. Il cantante è appena arrivato dalla Polonia, ma la sua casa è più a est. vaga da tempo con la pianola e un piccolo camper. Non ha uno scopo preciso, canta e filma il mondo. Canto e parlo.
La strada chiama.
Chiama il ragazzo dell’est e chiama me. Una donna si affaccia alla finestra per godere della voce profonda, irresistibile, di un uomo con grandi baffi, arricciati alla liberty. Vago come vaga il mio sguardo e mi perdo come un flaneur nella sua psicogeografia. Capito nella cattedrale di san Michele: torri gotiche, facciata dal sapore quattrocentesco, vetrate d’impronta rinascimentale; una sinfonia di stili per appassionati d’architettura, come tutta Bruxelles del resto. ‘Ad ogni epoca la sua arte. All’arte la sua libertà’.

Il cielo si fa scuro e mi rifugio tra muri di libri alti quattro metri che offrono riparo a tavoli di legno grezzo talmente piccoli che si è costretti ad aggrovigliare le gambe con chi siede di fronte. L’agrodolce della carne cotta al forno e glassata di salsa barbecue invade il locale, come le risate sonore di quelli seduti al banco. Il vago profumo d’oliva della birra amara, una patata al cartoccio con salsa bianca: non so quale sia la spezia usata ma l’aroma persistente mi accompagna tutta la sera. Sono felice. Nel tavolo accanto un ragazzo della mia età fuma un sigaro e sorseggia whisky. Mi sorride curioso. Si chiama Sergey.