Agosto 2006, Arabia Saudita

Il ritrovamento
Navighiamo nelle acque a Nord della città di Yambu, impegnati in una spedizione esplorativa alla scoperta di nuovi punti d'immersione in questa splendida ed incontaminata porzione di mare.
E' lunedì 14 Agosto e, dopo due immersioni piuttosto piacevoli, ci dirigiamo verso una laguna a 4 ore di navigazione da Hasani, isola situata di fronte al paese di Umm Lajj.
La scelta di trascorrere la notte in questa laguna, che si presenta con una forma ad arco frastagliato nel versante interno, non è affatto casuale: vecchie leggende di pescatori narrano di un relitto di un sambuco arabo, carico di terracotte e porcellane cinesi, che dovrebbe essere andato perduto proprio in queste acque.
Difficilmente queste leggende conducono a qualcosa di concreto, considerando anche la vastità dell’area e la scarsa visibilità (max 10mt) della laguna; il brivido dell'avventura ed il sapore della scoperta sono però un magnete troppo forte per lasciarci sfuggire un'occasione simile.
Decidiamo dunque di cercare il relitto e costituiamo un gruppo di ricerca composto da quattro persone che avranno il compito di andare in avanscoperta. Terminate le operazioni di ormeggio nella zona prossima all’ultimo avvistamento registrato dell’imbarcazione, organizziamo il lavoro e dividiamo i compiti: due fotografi, un addetto ai rilievi ed un cercatore, ovvero chi si occuperà di facilitare il lavoro agli altri tre membri del team, attraverso un lavoro di ricerca dei punti di particolare interesse…ovviamente, a patto di riuscire davvero a trovare il relitto!
Entriamo in acqua e ci disponiamo in formazione orizzontale, a qualche metro di distanza l'uno dall'altro, in modo da avere un raggio d'azione più ampio, d'accordo nel segnalare qualsiasi stranezza o irregolarità ci appaia sul fondo della laguna.
Carichi di entusiasmo e speranza, procedendo parallelamente al reef che delimita la laguna, ci immergiamo mantenendoci pochi metri sotto il pelo dell'acqua, così da poter osservare la sabbia che scorre sotto di noi con una prospettiva più ampia, oltre che per contenere il più possibile i consumi e l'accumulo di gas inerti.
Contro ogni previsione, dopo un tragitto relativamente breve, uno spettacolo incredibile si para dinnanzi ai nostri occhi: lo scheletro dello scafo del sambuco, ben riconoscibile per il fasciame che ne costituiva le ordinate, si stende sulla sabbia a pochi metri da noi, quasi fosse in attesa di essere risvegliato!

Procedendo da Nord verso Sud lungo quel che resta dello scafo, possiamo distinguere chiaramente i tratti della prua che, costa dopo costa, conduce alla parte poppiera dell'imbarcazione, dove il nostro sguardo viene rapito da qualcosa di anomalo: una strana macchia scura di grandi dimensioni occupa la zona dove, stando a ciò che sappiamo delle convenzioni dei marinai dell'epoca, dovrebbe esserci la parte del carico non stivata sottocoperta.
Ci avviciniamo lentamente e piano piano, davanti ai nostri occhi increduli, la grande macchia scura si rivela essere un immenso cumulo di vasellame ed anfore di terracotta. Ci è necessario un grande sforzo per uscire dall'”imbambolamento” che ha colto tutti e quattro e metterci al lavoro per fare rilievi e scattare fotografie di ogni minimo particolare.
Nel corso dell'immersione, dopo aver fatto un veloce giro dell'intero relitto e delle poche grandi anfore che lo circondano, ci concentriamo sulla parte centrale dello scafo, dove rinveniamo tazzine di ceramica finemente lavorata (e numerosi cocci di esse) con motivi floreali (le leggi arabe del tempo impedivano di raffigurare elementi umani, pertanto i committenti preferivano richiedere ceramiche decorate con motivi grafici di questo tipo) dai tipici colori accesi della tradizione centroasiatica.

Spostandoci poi verso il carico ammonticchiato nella zona di poppa, notiamo che non si tratta solo di semplice vasellame, troviamo infatti piccole giare, probabilmente adibite al trasporto di olio, e bruciatori per incensi, ognuno dei quali recante all’interno un affascinante bruciatore finemente lavorato.
Nell'esplorare i resti della nave, inoltre, rileviamo che in alcuni punti il fasciame presenta sfumature visibilmente annerite, particolare che fa sorgere in noi il dubbio che la causa dell'affondamento sia da ricercare in un incendio occorso a bordo, plausibilmente mentre l’imbarcazione si trovava ormeggiata nella laguna per trascorrere la notte al riparo dal mare, in attesa di riprendere il viaggio al sorgere del sole.
Il tempo trascorre veloce, senza che ce ne accorgiamo, almeno fino a quando vediamo apparire tutto il resto dell’equipe che, insospettita dalla stasi in un unico punto delle nostre bolle, ha pensato bene di venirci a trovare mentre noi, con un certo rammarico, ci rendiamo conto di esserci dimenticati (presi com'eravamo dall'entusiasmo) di avvisarli del ritrovamento, ma anche di essere ormai rimasti con una riserva di aria esigua che ci costringe a riemergere lasciando il campo ai nostri compagni di viaggio. Effettuiamo altre immersioni sul relitto per poterne trarre il maggior numero di informazioni possibili. Durante l'intera fase di esplorazione, inoltre, recuperiamo un certo numero di anfore e vasi che, dopo una attento e meticoloso (oltre che difficoltoso!) lavoro di pulizia, decidiamo di donare alla famiglia reale Saudita, proprietaria dell’imbarcazione con la quale ci stiamo muovendo tra i flutti delle meravigliose acque del Mar Rosso Orientale.
La nave: un affondamento tra storia e leggenda
Adagiato su un fondale di 20mt, il relitto è ciò che resta di un Sambuco arabo lungo 30mt e largo 10mt. Costruito nel XVII secolo è la tipica imbarcazione commerciale che ha avuto per secoli funzione di ponte tra Asia e Africa. Il trasporto marittimo era decisamente più sicuro di quello terrestre e le rotte tra i due continenti erano innumerevoli, così come innumerevoli erano gli scambi ed i natanti che svolgevano questo tipo di attività. Affondata intorno al 1700, la nave dinnanzi a cui ci troviamo è, per la maggior parte, sepolta nella sabbia, quasi a custodire ciò che serba nelle stive, palesandoci solo una minima parte del prezioso carico che portava (e porta) con sé. Non siamo riusciti a risalire ad un nome che la identifichi con precisione, un po' per la mancanza di dettagliate informazioni archivistiche, un po' perché è probabile che rientri nel lungo elenco di imbarcazioni "disperse in mare".
Un altro mistero riguarda il suo affondamento: siamo certi che fosse ormeggiata all'interno della laguna per ripararsi durante la notte o per una situazione meteo poco favorevole e piuttosto proibitiva, siamo inoltre persuasi che la causa dell'affondamento sia da ricercarsi in un incendio divampato a bordo; ciò che non sappiamo sono invece le cause scatenanti di questo incendio, tuttavia solo due sembrano essere i possibili scenari.
La prima ipotesi è che le fiamme abbiano cominciato ad ardere in maniera del tutto accidentale, a causa di un problema con una parte dell'equipaggiamento o in conseguenza della rottura di una lampada il cui olio avrebbe facilmente esteso l’incendio facendolo scorrere lungo tutto lo scafo. La seconda ipotesi, decisamente più romantica pur se meno verosimile, vuole invece che i marinai abbiano volontariamente appiccato il fuoco alla nave per sfuggire ad un attacco o che, addirittura, siano stati gli aggressori a dare alle fiamme l’imbarcazione, così da farla colare a picco.
Certo potrebbe sembrare strano trovare degli aggressori, dei Pirati, in questa zona, eppure è storicamente accertato che tra il 1696 e i primi anni del 1700, proprio in queste acque, spadroneggiasse e depredasse il temibile pirata William Kidd che, a bordo della sua Adventure Galley avrebbe accumulato un imponente bottino, impadronendosi degli averi di ricchi pellegrini diretti alla Mecca e del carico in porcellana di diverse navi provenienti da Oriente!
“Fate che il vostro spirito avventuroso vi porti sempre ad andare avanti per scoprire il mondo che vi circonda con le sue stranezze e le sue meraviglie. Scoprirlo significherà, per voi, amarlo.” (Kahlil Gibran)
