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Mongol Rally

Il rally più pazzo del mondo.

Anche quest’anno il 15 luglio avrà inizio il Mongol rally: un’avventura indimenticabile di 10.000 miglia attraverso montagne, deserto e steppe dell’Europa e dell’Asia alla guida di un qualsiasi mezzo, il più vecchio e sgangherato possibile. 

Mongol Rally Mongolia
Mongol Rally | 29 aug 2017 © ONEMOREPROD | Flickr | CC 2.0

La follia di due inglesi “fuori dalle righe”.

Nel 2001 due giovani teste calde inglesi, i cui pseudonimi sono Mr Tom e Mr Joolz, stanchi dei soliti e scontati viaggi estivi organizzati, decidono di testare la resistenza della loro Fiat 126 imbarcandosi senza pensarci troppo in un itinerario improvvisato: partono così per la Mongolia, muniti unicamente di pochi ricambi, un coltello da caccia e delle sigarette economiche. A causa di complicazioni con i visti e i passaporti non arrivano a destinazione, ma l’impresa li entusiasma a tal punto che si ripromettono di ripeterla appena possibile. Da questa loro esperienza nasce nel 2004 la prima edizione del Mongol Rally, considerata fra le più grandi avventure automobilistiche del pianeta, un evento atteso ogni anno con impazienza dagli amanti dei viaggi adrenalinici e all’insegna dell’imprevisto. 

Veicoli sgangherati e spiriti liberi.

Le auto o moto che partecipano all’impresa devono essere il più vecchie possibile (anche se non oltre i 10 anni), questo dà libero sfogo alla creatività e all’inventiva dei rallisti, che si ingegnano nell’adattare e sistemare veicoli usati in modo che riescano a percorrere migliaia di chilometri fra deserto e foreste. Un esempio eclatante è Wayne Barrett, un magazziniere inglese diventato leggenda del rally per aver percorso 8.000 miglia da Londra a Ulan Batar in 3 settimane su un Honda 90 Cub degli anni Settanta – nota come Monkey bike - recuperata con 140 sterline. L’estro dei partecipanti si manifesta soprattutto in uno stile di viaggio goliardico e fuori dagli schemi: a cavalcioni di banane, coccodrilli, yak e vasche da bagno sistemati sul portapacchi, in modalità “sci sulla sabbia”, all’indietro su 3 ruote, insomma tutto quello suggerito loro dalla fantasia e dall’eccitazione del momento. 

“Se niente va storto, ogni cosa è andata storta”.

“If nothing goes wrong, everything has gone wrong”.

Questa è la filosofia che devi condividere se vuoi partecipare al Mongol Rally, un motto che ben esprime l’idea di fondo di questa iniziativa, dove la parola chiave è imprevisto. Il Mongol Rally non è una competizione sportiva, ma piuttosto un richiamo irrinunciabile per chi si sente ingabbiato dalle imposizioni del viaggio sicuro e studiato a tavolino nei dettagli. Nessun vincitore, nessuna classifica, nessun itinerario prestabilito, poche ma semplici regole: le auto utilizzate non devono superare i 1200 cavalli di cilindrata (125 per le moto o scooter), le squadre non vengono in alcun modo supportate dallo staff organizzativo, i partecipanti devono devolvere almeno 1000 sterline in beneficenza (500 all’organizzazione principale Cool Earth, a favore del ripopolamento delle foreste pluviali, gli altri 500 a scelta ad una o più associazioni umanitarie che si occupano di sostenere la gente e l’ambiente dei territori attraversati).

Life Callout

Ho ancora tanto da dare” – si diceva specchiandosi nei recipienti per il cambio dell’olio. “Posso arrivare fino in cima al mondo”. Si perché questi due giovani le avevano promesso vita eterna in cambio di asfalto macinato: ogni giorno sarebbe stato differente, fino a che la strada non fosse terminata. Panda, dal canto suo, certo aveva poche certezze, ma come colui che si alza con il canto del gallo e non si spaventa di fronte a ripide salite, sapeva che non avrebbe mollato. Così, con il motore in gola, s’era lanciata in questa folle avventura attraverso tutta l’Europa e l’Asia, macinando asfalti di ogni tipo, saggiando benzine di ogni paese, sfoggiando la grinta di una ragazzina. I due giovani si prendevano cura di lei come meglio potevano, la coccolavano e la stimolavano ogni giorno. Cercavano di non farle mancare nulla. Montagne, fiumi, laghi, guadi – niente che li potesse fermare. Certo non si riposavano molto, ma a Panda andava bene. Era rodata come chi lavora da sempre tra vigne ed uliveti, e vivere di poco era come scritto nel suo libretto di circolazione.

Diario di viaggio del team HerodotusExpress di Marco e Andrea - Mongol Rally 2017 (fonte: pagina facebook “HerodotusExpress - MongolRally2017”).

Mongolrally
British Mongol Rally Car, Altai © Michael Eisenriegler | 2008 | Flickr | CC 2.0

Sai quando parti, ma non quando e come arrivi.

La partenza standard del Mongol Rally è nel Regno Unito, solitamente dal Goodwood Circuit, ma di fatto il viaggio viene intrapreso da qualsiasi parte d’Europa. Le prime edizioni della manifestazione si concludevano in Mongolia, a Ulan Bator; attualmente il traguardo si è spostato in Russia, nella città di Ulan Ude, per evitare i costi troppo elevati delle importazioni e dello smaltimento dei veicoli. Il tragitto viene deciso liberamente dai partecipanti, ed è questo che rende il Mongol Rally un memorabile evento per tutti. Il viaggio - per quanto possa essere pianificato in precedenza - non è mai certo, tutto dipende dal caso e dagli imprevisti che sorgono nell’attraversare paesi stranieri dove bisogna contare unicamente su stessi e le proprie risorse. Vietato il GPS, se non sai dove andare devi chiedere interagendo con le persone che incontri. Ecco così che i diari di viaggio del rally si riempiono di resoconti al limite dell’inverosimile: auto in panne trainate da animali, corsi di acqua o fango in cui si finisce impantanati, veicoli mezzi scassati che procedono a spintoni nel deserto, episodi di rapine o violenza da parte di predoni, intoppi burocratici, intossicazioni alimentari, e chi più ne ha più ne metta.

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Mongol Rally 2009 - Goodwood Start Day (55) © JULIAN MASON | 18 july 2009 | Flickr | CC 2.0
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Mongol Rally 2009 - Goodwood Start Day (55) © JULIAN MASON | 18 july 2009 | Flickr | CC 2.0

Plug In Adventures, il gruppo più ecologico del rally.

Plug In Adventures è un team formato nel 2011 da una coppia scozzese di appassionati di veicoli elettrici che si propone di sostenere la mobilità a zero emissioni nell’ambiente attraverso vari eventi ed attività per sensibilizzare la coscienza collettiva. Il 16 luglio 2017 Chris e Julie Ramsey partono dal circuito di Goodwood a bordo di una Nissan LEAF modificata del 2016, denominata AT-EV, un veicolo elettrico al 100%. I due affrontano quasi 13.000 chilometri attraversando ben 13 paesi e tagliano il traguardo del Mongol Rally 2017 il 9 settembre ad Ulan Ude in Siberia, instaurando all’interno dell’evento il primato per l’uso di veicoli elettrici. L’autonomia di ricarica della Nissan, fino a 250 chilometri per singola carica, permette loro di spendere meno di 100 sterline in elettricità. Grazie alla solidarietà della gente incontrata usufruiscono spesso della corrente elettrica utilizzando gratuitamente prese domestiche in bar, hotel, concessionarie d’auto, stazioni di vigili del fuoco, uffici postali; addirittura un elettricista esperto li aiuta a collegare direttamente il veicolo ad un traliccio dell’elettricità in mezzo alle foreste della Siberia.

La Mongolia, terra di nomadi.

La Mongolia è un ambiente aspro, caratterizzato da infinite steppe, qualche foresta e una parte del deserto del Gobi che si sviluppa nella sua parte meridionale. Una destinazione difficile, adatta a coloro in grado di apprezzarne le peculiarità. Il deserto del Gobi, con la sua posizione strategica lungo la Via della Seta, costituisce il cuore della cultura mongola: da qui il condottiero Gengis Khan partì con il suo esercito alla conquista di Asia, Medio Oriente e Europa orientale. Si tratta di un deserto prevalentemente roccioso con poche dune di sabbia, dove le condizioni climatiche sono particolarmente estreme (dai 40° estivi ai -40° invernali). Chi vi si avventura incontra una miriade di pastori seminomadi che si spostano in sella a cavalli e cammelli, ma soprattutto si imbatte nei loro “piccoli universi smontabili”, le gher, ovvero le antichissime abitazioni mongole. Bianche, di forma circolare, di non più di 20 metri quadrati, le gher o yurte sono dei capolavori di funzionalità: una pavimentazione in legno di salice sostiene dei pali riuniti a formare una calotta, la quale viene ricoperta esternamente da una tenda di feltro e pelli che ripara dal freddo. L’interno colpisce per l’atmosfera calda, accogliente, dominata dal profumo di cuoio e tabacco e da cromie arancio, oro e ambra. Al centro vi è una stufa di ghisa, usata per cucinare e come focolare, ai lati i letti - a sinistra quelli degli uomini e a destra quelli delle donne. Gli arredi di selle e cassapanche cesellate e decorate, i tappeti rossi e gli incensi conferiscono all’ambiente un tono sacro e mistico.